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~ IX ~
UNA COLAZIONE PARTICOLARE
Erano appena le otto del mattino quando il telefono squillò insistentemente nel silenzio di casa Ricci. Il suono limpido e fastidioso risuonò impertinente per tutti e due i piani sui quali si sviluppa la residenza della famiglia. Persino il cane in giardino rizzò le orecchie da dentro alla propria cuccia, eppure passò ancora qualche minuto prima che qualcuno si decidesse a rispondere. Al quinto o sesto trillo, Agata Paoli Ricci si alzò dal letto trascinandosi stancamente verso la cornetta: due borse gonfie sotto gli occhi e i capelli ricci, arruffati in un cespuglio indefinito, erano segni tangibili dell’ennesima notte passata in bianco.
"Pronto...?" rispose con voce roca e impastata, cercando di riacquistare un minimo di lucidità.
"Salve, chiamo per conto del Corpo di Polizia di Roma, parlo con la famiglia Ricci?"
"Si...sono Agata, Agata Ricci. Mi dica...", rispose articolando a fatica le parole con il tono apatico di chi si aspetta solo l’ennesima, brutta notizia: la speranza aveva infatti abbandonato quella casa, che sembrava ogni giorno sempre più triste e vuota. "Abbiamo un aggiornamento sul caso che avete denunciato. Vostra figlia è stata ritrovata, al momento si trova all'ospedale Santo Spirito, Lungotevere in Sassia 1".Agata si bloccò come fulminata. Dalla cornetta che le era lentamente scivolata dalla mano si udì ancora "Signora? Signora, mi sente? È tutto a posto?".
Lei ebbe un singulto e mentre si tergeva una lacrima solitaria recuperò l’apparecchio "Si, tutto a posto...grazie", disse poi alla persona dall'altro capo del telefono prima di riattaccare.
Stette qualche secondo ancora immobile, pietrificata dall’incredulità e dalla gioia che la scuoteva dal profondo del cuore; dopo più di tre mesi d’inferno le sembrava di poter respirare di nuovo; sua figlia era non solo viva ma anche libera: da quando era scomparsa senza che gli investigatori fossero riusciti a risalire ad uno straccio di pista, lei e suo marito avevano temuto il peggio: e in ogni storia straziante di donne deportate, violate e oltraggiate in televisione essi rivedevano la loro ragazza. La situazione era diventata così pesante che il televisore ora giaceva in un angolo della cantina.
"FILIPPO! Filippo svegliati!", urlò al marito correndo verso la camera ed evitando per un soffio di cadere a causa del pantalone di finto raso, il quale scivolando sotto un piede rischiò di farle ridiscendere le scale in modo rovinoso.
"L'hanno trovata, hanno trovato Giulia! DAI! VESTITI!". Lui, un uomo di mezza età con la barba già brizzolata, appena ebbe capito quanto successo agguantò una camicia e un jeans dall'armadio infilandoli di fretta e furia. In quaranta minuti erano accanto al letto.
Giulia, la loro Giulia, però dormiva; verso le tre del mattino l'avevano trovata mezza annegata nel Tevere, in stato confusionale. Era stata portata in ospedale e lì riconosciuta da un'infermiera che ne aveva visto la foto sui giornali.
D'altronde era un caso che aveva fatto scalpore: la ragazza scomparsa da un momento all'altro, senza che nessuno avesse potuto capire come: nemmeno il minimo indizio, e neanche una richiesta di riscatto: solo un doloroso, inquietante silenzio durato mesi.
Verso le nove Giulia si svegliò, le ci vollero ben dieci minuti per riprendersi e ricominciare a riconoscere i volti familiari dei propri cari. Il mal di testa le martellava le tempie insistentemente, e le girò quando tentò di tirarsi a sedere, tuttavia pian piano il dolore si assottigliò sino a scomparire. Sorrise, le sembrava di essersi svegliata da un lungo sonno confuso.
"Ehi, come ti senti?", le chiese il padre spostandole i capelli dalla fronte.
"Bene...più o meno...ho un po' fame...",bisbigliò lei.
"Cosa vuoi che ti prendiamo?",domandò la madre.
"Non saprei, mi piacerebbe della frutta".
"Vado io." Si offrì lui uscendo.
Qualche minuto dopo l'infermiera fece capolino dall'uscio della porta: "Ciao, qui ci sono i risultati delle tue analisi", disse poggiandoli sul comodino, "Ci sarebbe l'ispettore, tesoro, te la senti di rispondere ad alcune domande?".
Giulia annuì debolmente poco convinta e un uomo fece il suo ingresso all'interno della camera d'ospedale.
"Salve, come si sente signorina Ricci?"
"Piuttosto bene grazie"
"Vorrei chiederle se ha qualche idea su chi potrebbero essere, o se conosce personalmente i rapitori", continuò. Giulia si sistemò meglio sui cuscini.
"Rapitori? Che sta dicendo?",fece lei confusa portandosi una mano alla testa come per cercare di ricordare.
“Non ricordi chi ti ha rapita? Magari era incappucciato”
“Io... l’ultima cosa che mi ricordo…”, disse per poi bloccarsi con gli occhi spalancati. “Non saprei, mi sento molto confusa…”
La madre a quel punto si intromise avvicinandosi all’ispettore e dicendo sottovoce “Forse non è il momento adatto per delle domande, ma mi tolga una curiosità: come mai state pensando a un rapimento?”
“Vede, lo abbiamo pensato subito quando ci hanno chiamati: i vestiti che sua figlia indossava sono senza etichetta, e poi ha un simbolo, un marchio sulla schiena…”.
Agata lo interruppe perplessa “Un tatuaggio intende?”
“ No signora... quello che intendo dire è…”
Ma furono interrotti in quel momento dal padre di Giulia, il quale aveva fatto razzia di vari tipi di frutta al bar dell’ospedale; e mentre la ragazza cominciava timidamente a mettere in bocca qualcosa, Filippo si avvicinò a loro.
Il principe di Persia cominciò a smuoversi in quel momento dalla scomoda posizione nella quale era stramazzato, ormai vinto dalla stanchezza, la notte prima; si stiracchiò come un gatto allungando i muscoli, strizzando gli occhi, e infine sbadigliando. Lui e Altamira erano gli unici superstiti di un festino che, uno dopo l'altro, aveva stroncato e convinto gli altri invitati a ritirarsi.
Il principe, sebbene, come tutti i partecipanti, fino a qualche ora prima fosse reso ebbro dal vino e euforico dalle droghe, non dava alcun segno di essere provato: infatti il sangue umano mescolato a quello degli Athanatoi gli scorreva vigoroso nelle vene rendendolo capace di riprendersi in un paio d'ore da una serata estenuante. Misurò la sala a grandi passi schivando resti di cibo, vesti, coppe, tralci di vite e si fermò solo quando ebbe trovato la propria favorita. Siva, troppo timorosa per ritirarsi senza aver ricevuto il benestare del proprio padrone, aveva finito per crollare rannicchiata su un cumulo di vestiti: nell'angolo tra un divano e un altro, completamente coperta da un drappo damascato.
La ragazza sembrava una ninfa dormiente, un'innocenza infantile traspariva dall'espressione tranquilla e beata, le spalle erano coperte dai capelli d'un biondo scuro, le labbra a forma di cuore appena dischiuse dal respiro. Il primo Ministro dell'impero la scosse leggermente destandola dal sonno.
"Alzati" le comandò. Lei, completamente intontita, si liberò dalla coperta improvvisata rivelando pian piano il corpo grazioso e minuto. Fu condotta verso il tavolo che troneggiava al centro della sala e nelle mani le fu messa una gran tazza di latte, che gustò a piccoli sorsi, aspettando che Kassandros, il quale l'aveva appena lasciata, tornasse. Man mano che il liquido candido e fresco le scivolava lungo la gola sentiva, prima più lieve e poi pian piano più insistente, la pressione che aumentava sulla propria vescica; così, quando il principe fu tornato, timidamente gli manifestò il proprio bisogno. Lui tirò le labbra in un mezzo sorriso, commentando con una sola parola: "perfetto"; poi, dopo aver messo un cuscino sul tavolo, la modellò a proprio piacimento, tendendola, legandola, stringendo più volte la corda che era andato a prendere attorno alla pelle candida: costringendo, modificando, imprigionando e liberando la tensione. Ogni qual volta si fermava non lo faceva per insicurezza, ma per strappare un bacio umido dalla bocca della schiava o per esplorarla con le dita, tastandola, eccitandola e svegliandola dal torpore mattutino.
Siva era completamente legata quando non furono più una coppia ma una triade: la sorella dell'imperatore, unica altra superstite della festa, appena destata si era unita a loro, abbracciando lui da dietro e passandogli le mani sull’inguine già eccitato. Egli a quel gesto si voltò e la baciò dicendo "Buongiorno amore mio, ti ho preparato una colazione speciale."
Altamira sorrise per ringraziarlo, indi cominciò ad assaporare la pietanza suggendo dapprima i capezzoli e le labbra rosee, mordicchiando poi la pelle tenera dei fianchi, e terminando sul clitoride, che a lungo dilettò con la propria lingua e le proprie labbra. Mentre la sua compagna era intenta in quelle operazioni, lui stringeva e colpiva i seni della ragazza, arrossandoli e facendo risuonare i colpi dati contro la pelle soffice, unitamente ai gemiti di lei.
La schiava ad un certo punto lanciò un lungo lamento difficile da decifrare, misto di piacere e fastidio: l’altra donna le aveva infilato le dita affusolate dentro, masturbandola, uncinando la parte più sensibile, facendole sentire terribilmente preponderante il bisogno di urinare. Quella tortura durò ancora per qualche minuto, poi la giovane esausta si lasciò sfuggire i primi schizzi che furono accolti dall'altra con gioia e piacere. "Non trattenerti", le sussurrò suadente il suo padrone all'orecchio, “guarda come la stai rendendo felice”. La baciò mentre i capelli e il viso dell'altra venivano inzuppati, continuando a lambirla anche quando Altamira le divorò la vulva, raccogliendo e bevendo l'urina che ancora usciva direttamente dalla fonte.
I due amanti infine si guardarono complici: lui la baciò tirandola a sè, poi le leccò il volto, raccogliendo gli umori e strizzandosi in bocca i capelli dell'amata.
"Direi che siamo pronti ad affrontare una nuova giornata!"
"No! Manca ancora la parte migliore mia cara!", ribatté lui estraendo un rasoio affilatissimo e controllandone la lama in controluce sotto lo sguardo perplesso di Altamira. L'acciaio premette e tagliò superficialmente l'epidermide della schiava, facendo sgorgare un ampio rivolo di sangue; la sorella dell'imperatore ebbe un sobbalzo alla vista del sangue, le pupille le si dilatarono immediatamente, e come una fiera tirò le labbra sui denti, scoprendo le gengive come un animale sul punto di azzannare la preda. Il sangue e la ferocia animalesca degli Athanatoi - che pur possedevano solo in parte - sconvolgevano sia lei che il suo amante. L'istinto lottò furiosamente contro la volontà, fin quando con un ringhio che poco aveva di umano lei si avventò sulla ragazza legata, leccando il sangue dalla ferita, e slabbrando con la lingua per averne di più. Siva gemette di dolore, ma subito un altro taglio si addusse al primo e il suo padrone, in preda ad una sottile euforia, succhiò il sangue senza dargli nemmeno il tempo di uscire. Erano di nuovo ebbri, con le labbra e i denti arrossati, e ogni taglio aumentava la loro febbre, il loro istinto animale. La morsero anche, strappandole grida di vero dolore, quasi a volerla divorare. Poi l’istinto ormai saziato si acquietò, i due si baciarono mentre contemplavano la favorita del primo Ministro, con la pelle a tratti imperlata di sudore, a tratti sporca di sangue, a tratti fermata e costretta dalle corde.
Tuttavia, prima che qualcuno potesse pensare di slegare la malcapitata, l'imperatore fece il suo ingresso in quella sala che era stata teatro di divertimento e depravazione. “Vi stavo cercando, ecco dove eravate finiti, è successa una cosa irripetibile”, proferì nervosamente avvicinandosi ai due. “Dobbiamo trovarla, è scomparsa!”
“Calmati”, lo esortò il suo migliore amico, “chi è scomparso?”
Il principe non ricevette risposta, ma con terrore assisté ad una trasfigurazione totale del proprio interlocutore: Alhamba aveva gli occhi iniettati di sangue, le iridi luminose come fuoco,. Se la trasformazione di Kassandros e Altamira alla vista del sangue era apparsa inquietante, la sua fu tanto tremenda da gelare sul posto la sorella e l’amico.
Si gettò su Siva come una fiera che si getti sulla propria preda, mordendole il collo a sangue; la malcapitata lanciò un lungo urlo, che pian piano si trasformò in un gemito di piacere, buttò indietro la testa roteando le orbite, immersa in un piacere estatico, totale, inimmaginabile, magico e letale, poiché come un veleno afrodisiaco, il morso degli Athanatoi conduce alla morte più dolce e terribile.
Prontamente la sorella e il principe si buttarono su di lui tentando di strapparlo dalle carni della giovane, ma invano: lui li respinse come giocattoli, animato da disumana forza e ferocia. “Chiama qualcuno! La divorerà”, urlò il principe ad Altamira, la quale prontamente si diede a correre più velocemente che poteva.
Ancora Kassandros si buttò sull’imperatore tentando di smuoverlo, ma stavolta un ringhio terribile uscì dalle fauci di lui. Poi, staccatosi di scatto, prese il proprio amico e lo scaraventò in terra con forza disumana.
Ancora Alhamba si appropinquò alla preda, stavolta salendo sul tavolo per meglio cibarsene, e con foga animale mentre le addentava i seni la penetrò, e continuò a fotterla, mentre lei completamente in un altro stato mentale gemeva di piacere inconsulto; gemeva di piacere anche quando, uno dopo l’altro, l’Athanatos le strappava i capezzoli con i denti, anzi in quei momenti il suo piacere era più alto e nulla faceva per sottrarsi alla fame di lui.
L’imperatore poi venne, con un grugnito rauco, affondando di più le fauci nella carne, ma subito dopo, solo per un attimo un barlume di lucidità gli passò nello sguardo e si ritrasse, inorridito dalla belva dentro di sé. Cadde dal bordo del tavolo e scoppiò in singhiozzi disperati.
"Vedete”, rispose l’ispettore abbassando lo sguardo, “io non so proprio trovare il modo giusto di dirlo, ma vostra figlia è stata di certo rapita”.
“ Signora… non è un tatuaggio, è un marchio, un marchio a fuoco…”
Lei si coprì la bocca con il palmo della mano, cercando di soffocare il dolore per non turbare la loro piccola.
“E non è tutto qui, è incinta, di circa tre settimane, magari è per questo che l’hanno liberata”.
Filippo sgranò gli occhi, tergendo il sudore che gli colava lungo la nuca con la manica, cercando di trovare la forza per parlare. “Signor ispettore, ci sta cercando di dire che nostra figlia è una schiava sessuale?”
L'Interpellato chinò il capo. “Non ne abbiamo ancora la certezza, ma pensiamo di si”.
Agata si accasciò sulla spalla del marito, il quale era forse anche più turbato di lei. “Ci può lasciare qualche minuto? Siamo molto scossi.”, disse Filippo abbracciando la moglie.
Nel frattempo l’infermiera stava sistemando una flebo di fisiologica mentre cercava di intrattenere la nuova paziente.
A un certo punto Giulia le chiese: “ma le mie analisi? Come sono?”
La signora si guardò intorno imbarazzata. “Stai bene, tesoro... tra qualche ora potrai andare a casa; d'altronde aspetti un bambino, dovresti riposare”.
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